Chi mi conosce sa che provo una sorta di devozione per Stephen King. Una considerazione che va oltre la bravura in sé dell’autore. Esisteranno scrittori più “dotati”, e certamente più importanti dal punto di vista letterario. Ma sapete come succede ai bambini, quando si affezionano ad un particolare giocattolo? A un certo tipo di peluche? Un pupazzo che col tempo diventa spelacchiato, consumato, magari senza un occhio, la bocca storta e il pelo rovinato dai troppi lavaggi? Messo davanti a mille altri giocattoli nuovi di zecca, quel bimbo sceglierà ancora il suo vecchio peluche. Ecco, King è il mio peluche. Il giocattolo che conosco, quello con il quale sono cresciuto. Non ho letto tutta la sua produzione letteraria, ancora. Mi piace centellinare i suoi lavori, tenerli per i momenti nei quali sento di aver bisogno di un rifugio. Perché leggendo King torno per un attimo il dodicenne spaventato a morte che leggeva la storia del pagliaccio assassino di Derry. L’adolescente solo a casa dei nonni, affondato sul divano nella lettura di Carrie. O il giovane studente universitario alla ricerca della Torre Nera, il libro aperto sulla metro e dentro le aule della Statale.
Se credete a quello che ho appena detto, (fatelo, non vi prendo in giro) potrete comprendere con quanta e quale devozione mi appresti ogni volta ad aprire un nuovo libro di King. E con quanta attenzione provi a commentare quel libro. Per gli altri autori ragiono in questo modo, più o meno: bello-brutto-il prossimo. Con King la partita è più complicata. Perdonatemi, dunque, per quanto segue. Se volete, seguitemi.
“Il bazar dei brutti sogni” è un’antologia di racconti, venti in tutto, scritti da Stephen King tra il 2009 e il 2015. Questa analisi prende in considerazione i primi cinque titoli, che valuterò solo singolarmente non essendo ovviamente ancora possibile una valutazione complessiva.
Premessa: Stephen King scrive divinamente. Questo è assodato. Non starò a ribadirlo racconto per racconto. Vale sempre, punto.
Seconda premessa: la scala di valori che applico a King, vale per King. Se gli stessi racconti fossero stati scritti da un altro, adotterei un altro metro di giudizio. E i voti sarebbero un po’ più alti. Punto, again.
Partiamo
MIGLIO 81 – Voto 5
Diavolo di un King, ma proprio con questo dovevi iniziare? O meglio, proprio con questo devi costringermi a iniziare la recensione? Credo sia fra i racconti meno riusciti del Re. La storia è fin troppo telefonata e i personaggi poco approfonditi.
Punto di forza
I bambini. Quando King approfondisce l’universo dei bambini riesce sempre a cogliere alcune sfaccettature deliziose. La bimba che fa da piccola mamma al fratellino mi ha commosso.
Punti deboli
Tutta la prima parte, in cui viene introdotto il personaggio di Pete, è del tutto irrilevante ai fini della storia. L’avrei trovata gradevole in un romanzo. Non credo sia adatta ad un racconto che, per definizione di King, dovrebbe somigliare più a un “valzer con uno sconosciuto, un bacio al buio”. Qui il bacio si dilunga, diventa quasi stucchevole, anche perché inutile nell’equilibrio generale della storia.
L’idea di fondo. Una macchina che si mangia la gente? Scusatemi, ma leggendo il racconto non ho potuto fare a meno di pensare alla puntata dei Griffin in cui un King a corto di idee prova a lanciare l’idea di un nuovo romanzo con una lampada assassina. King ha già scritto di macchine assassine non una, ma almeno due volte. In questo caso ho sentito il gusto amaro del “già sentito”.
Il finale. La lente che brucia la macchina-mostro è una trovata sulla quale preferisco non esprimermi …
PREMIUM HARMONY – Voto 4,5
Secondo racconto, secondo passo falso. Anche peggio del primo, con il solo vantaggio di essere più breve. King dichiara di aver scritto questo racconto come tributo a Carver, aggiungendo un tocco di ironia macabra. Onestamente non conosco Carver (dovrei rimediare) e francamente non so dove sia l’ironia di cui parla King, ma ho trovato questo racconto davvero brutto. Inciso – ogni tanto scrivo racconti e senza alcun dubbio il mio lavoro migliore non tocca i piedi a questo di King – fine dell’inciso. Qui la trama è troppo debole e, cosa più grave, non viene trasmessa sufficiente empatia con i personaggi. Ho letto l’ultima riga e ho chiuso il libro con un “boh”. Non bene zio. Non bene.
Punti di forza
Mi dispiace, ma non ne trovo.
Punti deboli
Trama scialba.
Poca empatia con i personaggi.
Le discussioni all’interno del supermercato sono surreali. Nulla di ironico, semplicemente non sono credibili. Lui che fantastica sessualmente su altre donne con la moglie morta a un metro? No, non è credibile. Forse qui voleva esserci l’ironia, ma a me non è arrivata.
Il cane…qui vorrei soffermarmi un po’ di più. Il legame fra il cane e la moglie, oltre al fatto che il marito non lo sopportasse è, ancora una volta, un po’ telefonato. Come troppo scontata è la morte per “arrostimento”. Non so se King volesse sorprendere con il ritrovamento della bestia ammazzata, ma non ci è riuscito. La storia è troppo breve perché ci si possa dimenticare di lui, abbandonato in macchina. L’effetto “oblio-lettore/risveglio con colpo di scena”, quello così fantasticamente riuscito in “Shining” (non dico nulla per non spoilerare, ma “la cosa che era stata dimenticata” è una perla letteraria), qui non riesce. Non poteva, forse, per la brevità della storia. O forse l’effetto ricercato da King non era quello. Ma allora, qual era? Non so. In ogni caso, non mi ha convinto.
UNA RISSA PER BATMAN E ROBIN – Voto 9
WOW! Dopo i primi due racconti deludenti, arriva una perla. Come in Premium Harmony, la trama scarseggia, ma in questo caso la scelta – perché si tratta di una scelta – è azzeccata. Manca la trama, ma ci sono i personaggi. Tutta l’empatia che non ho provato per il Ray di PH si riversa sui personaggi di questo racconto. Pochi, in verità. Due, i principali, su cui si regge l’intera vicenda. Il racconto sviluppa il rapporto genitore-figlio, toccando in una decina di pagine temi difficili come la malattia e la morte. E lo in modo impeccabile, con una leggerezza e al contempo una profondità eccezionali. Poche pennellate che dipingono un quadro di rara bellezza. Mi basta una storia così per fare pace con te, zio King, anche dopo quei due primi racconti. Dopo questo te li perdono. Ora siamo pari. Andiamo avanti.
LA DUNA – Voto 9,5
Avrei dovuto saperlo che saremmo andati in crescendo. Come nella tradizione dei migliori Bazar, nessun venditore mostra fin da subito la merce migliore. Siamo solo al quarto racconto, ma qui si arriva già ad altissimi livelli. Racconto in pieno stile “vecchio King” (sebbene non ami troppo la definizione), con tocco di soprannaturale celato e non spiegato fino in fondo. La storia scorre senza pause, incalzante nel ritmo e nella trama. Eccolo il valzer con lo sconosciuto. Eccolo il bacio al buio. Splendido.
Un solo punto debole, che in realtà non sta nel racconto, ma nell’introduzione dello stesso. King pone l’accento sul finale, mettendo il lettore sull’attenti e di fatto rovinando in parte la sorpresa stessa. Poca cosa, lo so, non aggreditemi.
IL BAMBINO CATTIVO – Voto 9
Difficile alzare di nuovo il livello, rispetto a “La duna”. Qui la storia si fa più articolata, un po’ meno diretta. Il racconto è più lungo, ha più personaggi e una trama più ricca. Il male prende le forme di un bambino – il cattivo del titolo – e lo fa nella maniera più subdola. Quanto possono essere cattivi i bambini, con i loro scherzi e le loro filastrocche a presa-in-giro? King prende spunto da questo e lo eleva alla massima potenza, trasformando un bambino in un diavolo. Un diavolo impossibile da sconfiggere, nonostante si possa uccidere il bambino che lo accoglie. Un diavolo che torna a fare capolino nelle ultime righe del racconto. Letto a notte fonda, poi ho fatto fatica ad addormentarmi. Questo è King. Diciamo grazie-sai.
Continua…